Sono capitata per caso su questo sito, grazie a un’ amica che mi ha inviato il link di un vostro post. Ho deciso che avrei scritto della bambina che sono stata e di quella che ho davanti..Dunque, per fare una sintesi, durante la mia infanzia e adolescenza ho subito tutti e 3 i tipi di violenza..un tipo, solo un giorno; un’altro per parecchio tempo e l’ultimo posso dire che, in maniera e forme diverse, continua tuttora..ciò mi ha lasciato incubi, fobie, insicurezza, bassissima autostima, il mio cercare sempre l’affetto, che non ho avuto, nelle altre persone, un odio profondo per alcuni odori che mi fanno stare molto male..e, ultimamente, anche insonnia che non so come curare…ma tutto ciò mi ha lasciato anche una cosa orrenda e cioè il fatto che io, in certe situazioni, provi una bruttissima sensazione intima che mi riporta lì, in quella stanza, e ciò non basta perché spesso, guardando i ragazzi, mi viene da pensare che lui, quando ha fatto quel che ha fatto, era uno di loro..aveva la loro età…la psicoterapeuta, che mi ha seguito fino a qualche settimana fa, diceva che “proietto” (ciò capitava anche in riferimento al sentire tra le mie mani e quelle di altri “quell’odore”)..questa orrenda sensazione mi fa stare tanto male e spesso non riesco proprio a sopportarla (nonostante ci abbia già fatto il callo) e mi rende stufa, stanca, arrabbiata, spossata, angosciata e stremata..tutto è sempre stato coperto e nascosto, anzi anche quando c’ero solo io veniva negato..era solo un sogno, diceva..”tutti giocano al dottore da piccoli”…erano “Affari di famiglia”.. io ci ho creduto per anni che fosse un “gioco che tutti fanno”, ma pian piano iniziavo a pormi qualche domanda del tipo: “se tutti lo fanno, se è normale, perché non lo vedo fare per strada?”..Ricordo come fosse ieri una risposta..quando una di queste persone mi stava urlando e rinfacciando che io non la/lo difendevo davanti a due compagne di scuola, tra le lacrime le ho urlato: ” perché tu che cosa hai fatto? Mi hai forse difesa?”.. la sua risposta è stata lapidaria: “cosa potevo fare? Era uno della famiglia!”..e io? Io cos’ero? Io ero nulla..uno strumento..un mezzo per soddisfare i desideri di qualcuno e per sfogare la frustrazione di qualcun altro..nient’altro.. ero inutile..ero sola..l’unico che avevo per sfogarmi era scrivere, ma tutte le volte che venivo scoperta, i miei diari scomparivano..una volta mi ha fatto strappare le pagine nelle quali avevo scritto la mia storia, la mia sofferenza e me le ha fatte gettare nel caminetto acceso..la mia vita non aveva senso..fino al 2011 avevo dentro di me un desiderio profondo di morire, perché nonostante fossi circondata da persone che mi volevano bene mi sentivo sola con me stessa e con il mio dolore incomprensibile a tutti..e ci ho provato in tutti i modi, dal non mangiare al mangiare e vomitare (entrambe le cose mi facevano sentire bene, sentivo uscire il dolore..sentivo di essere finalmente padrona di qualcosa nella mia vita); dal ferirmi in tutti i modi fino ad arrivare ad atti estremi, come tentare di gettarmi dalla finestra o dal balcone).. sono stata ricoverata a 14 anni perché avevo tentato il suicidio..mi hanno imbottito prima di uno psicofarmaco che mi ha provocato la galattorrea e poi un altro, x adulti, che serviva per curare i pazzi veri, gli schizofrenici (la zyprexa, per intenderci)… quando mi hanno dimesso dall’ ospedale, a processo in corso, mi hanno fatto tornare a casa..e ho pagato a caro prezzo la denuncia, ma anche il processo è andato male..tradita anche da chi, nella mia mente, rappresentava l’aiuto, la sicurezza e la giustizia (periti, gip, avvocati, psicologi e neuropsichiatri infantili)..tradita da tutti…quindi, assolutamente non aiutata da nessuno se non da due zii poliziotti che si sono fatti in 4 per rendere giustizia alla mia anima..e ancora qualcuno ha il coraggio di dirmi che non ha capito il perché io avessi tentato varie volte il suicidio… :'( Ho fatto parte di un’ associazione che lottava contro la pedofilia e la violenza sui minori e, ciò, mi ha causato solo ulteriori problemi e tradimenti e chi ha vissuto questo periodo con me, sa di cosa parlo e a cosa mi riferisco.
Tutta la mia storia ha trovato un senso grazie a un incontro vivo di Dio avuto qualche anno fa e da lì ho cominciato a vivere, ma le prove che devo superare ogni giorno sono infinite e spesso cado nella tristezza..ancora mi vedo grassa, ma non è più un pensiero patologico perché comunque mangio..mi vedo ancora brutta e insignificante..sento ancora dentro di me di sbagliare ogni cosa e di non fare mai niente di giusto..mi rattristo profondamente quando vedo bambine o ragazze con fratelli maggiori, perché io avrei sempre voluto avere almeno un fratello maggiore…un fratello che mi avesse difeso e protetto..che mi avesse voluto bene veramente e in modo sano…un fratello da imitare, dal quale imparare che cosa sia l’amore e come si ama, in modo vero e sano..ma non l’ho avuto..ancora non riesco né a scrivere né tantomeno a parlare a voce di ciò che ho subito, in modo dettagliato, descrivendo ciò che è capitato in quella stanza.. mi dà un fastidio tremendo e mi crea una rabbia assurda il fatto che io non riesca a parlare bene a voce..con il tempo, sia per motivazioni scolastiche sia perché non accettavo di non riuscire a parlare come scrivevo, ho studiato un modo particolare per riuscire a farlo e cioè devo o scrivere il discorso che voglio tenere o, quantomeno, pensare di scriverlo..questo ulteriore problema, che mi fa stare male, lo imputo a 2 cose: la prima, al fatto che non ho mai potuto parlare della mia sofferenza quotidiana con nessuno e allora scrivevo molto anche se di nascosto; la seconda, a un fatto prettamente fisiologico e, cioè, al fatto che ho iniziato a parlare quando ho imparato a scrivere (a 3 anni)… In breve, è tutto qui..ecco la mia storia..
So che è un testo un po’ lungo..mi dispiace..
Spero che non venga inserito il mio vero nome (magari tramite un collegamento diretto con fb), perché mi sono esposta troppo scrivendo tutte queste cose sulla mia vita, ma lo volevo fare sia per me sia per le persone che capiteranno su questo sito per far capire loro che, veramente , si può rinascere da qualsiasi sofferenza.. Certo, molte cose me le porterò dietro per sempre, ma, quello che conta per me, è far memoriale di com’ero e di come sono ora, vedendo in questa trasformazione l’immenso amore di Dio per me.. Buona serata a tutti! 🙂
Serena (non è il mio vero nome che metterei volentieri, ma non posso scriverlo)..
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LA GUARIGIONE COME RICERCA DELLA VERITA’
Mi colpisce nella sua straordinaria comunicazione, così capace di evidenziare le conseguenze mortifere delle violenze subite, la sua modalità di scrittura: in parte descrittiva, in parte allusiva, in parte omissiva. E’ come trovarsi di fronte ad una drammatica fotografia con un nucleo ben riuscito e nitido e con delle aree intorno sfocate. La sua vivida messa a fuoco di alcuni aspetti della sua vicenda e dei sintomi che ne sono derivati lascia deliberatamente nel vago alcuni elementi del contesto: per es. l’autore (che s’intuisce subito sia stato un adolescente e successivamente, sembra, un fratello, ma di cui non si dice nient’altro), i familiari che certamente non sono stati tutelanti in nome del principio della sacra difesa della sacra famiglia (ma quando viene fatto un riferimento preciso ad uno di questi familiari si lascia incerta l’identità di genere … “una di queste persone mi stava urlando e rinfacciando che io non la/lo difendevo”). Le stesse forme di violenza subita non sono specificate e possono essere decifrate, come in un indovinello, con un certo margine di dubbio (“durante la mia infanzia e adolescenza ho subito tutti e 3 i tipi di violenza.. un tipo, solo un giorno; un altro per parecchio tempo e l’ultimo posso dire che, in maniera e forme diverse, continua tuttora….”). E’ come se tuttora pesasse un interdetto a parlare, a chiarire e un obbligo a proteggere l’autore oppure i familiari non tutelanti dal confronto con la verità di quanto successo e con le sofferenze che lei ha dovuto subire e i danni che lei ha dovuto riportare. Della vittimizzazione è rimasta, come spesso succede, una insistente traccia sensoriale, una pesantissima ed opprimente memoria olfattiva.
Colpisce poi il suo significativo riferimento al contesto familiare affettivo, ma incapace di comprendere (“nonostante fossi circondata da persone che mi volevano bene mi sentivo sola con me stessa e con il mio dolore incomprensibile a tutti…”)
Mi chiedo se sia amore pieno e maturo e non già superficiale o apparente l’amore che si ferma al sintomo e non va alle cause, l’amore che si benda gli occhi e si ingessa il cervello di fronte al nesso tra una violenza conosciuta e gli effetti di questa violenza, un amore che non si pone seriamente il problema di riconoscere interamente, di capire a fondo e di tentare di rimuovere le cause traumatiche della sofferenza di una persona cara.
La sua propensione alla scrittura è molto evidente e fruttuosa, ma sembra che si accompagni ad un blocco antico alla comunicazione verbale, che – vale la pena ricordarlo – rappresenta comunque la forma comunicativa più importante per noi essere umani, un registro comunicativo fondamentale ed insostituibile. I registri comunicativi della scrittura, dell’espressione grafica, artistica o corporea sono originali e validisssimi, ma ciò nonostante non possono compensare al 100% un blocco della verbalizzazione e del pensiero connesso alla verbalizzazione.
Nel suo caso il blocco – parziale, ma rilevante – della parola può avere avuto cause (fisiologiche o relazionali?) già nel primo sviluppo evolutivo e può essere stato successivamente incrementato dall’indubbia ingiunzione a tacere esplicita/implicita connessa inscindibilmente alla violenza intrafamiliare subita. Le modalità con cui si è svolto l’abuso e la pressione dell’ambiente familiare circostante hanno certamente contrastato la possibilità di procedere ad una completa e coerente verbalizzazione dell’esperienza traumatica, un’impossibilità le cui tracce peraltro si avvertono anche nel registro scritto della mail che ha inviato a questo forum.
Della sua psicoterapia so pochissimo se non il fatto che l’abbia interrotta e, implicitamente, che non ha saputo garantire una rielaborazione adeguata delle violenze di tutti i generi da lei patite. Ora, se c’è una cosa che ho imparato occupandomi da circa 30 anni di psicoterapia del trauma è che la cura è possibile, per quanto ardua e che la cura stessa coincide con il recupero – quanto più completo ed esauriente possibile – sul piano cognitivo ed emotivo della vittimizzazione subita e delle strategie con cui si è reagito alla violenza. Anche se non è mai possibile recuperare il 100% dell’accaduto ciò che conta è muoversi in quella direzione.
Si può dire che la guarigione coincida con l’accettazione e la metabolizzazione della verità del trauma e della sofferenza ad esso connessa. Si può dire che la guarigione coincida con il recupero pieno della verità in tutte le sue pieghe, con il superamento del carattere sconvolgente del ricordo. Un giorno forse la psicoterapia del trauma giungerà a precisare e a classificare le sintomatologie e le sindromi in relazione al quantum di verità non digerita dal paziente, un quantum che rimane da elaborare.
Se lei comprensibilmente segnata di sentirsi ancora “stufa, stanca, arrabbiata, spossata, angosciata e stremata…” un motivo c’è: non ha potuto finora rielaborare pienamente la verità del trauma e la verità della sofferenza patita a seguito della violenza e a seguito della negazione della violenza, non è stata sostenuta a contrastare le opportunistiche difese dell’ambiente familiare alla coerente rielaborazione dell’accaduto, non è stata aiutata a superare le inevitabili difese soggettive di evitamento e dissociazione dal ricordo.
Lei accenna al fatto che tutta la sua storia “ha trovato un senso grazie a un incontro vivo di Dio avuto qualche anno fa” e precisa: “Da lì ho cominciato a vivere”.
La sua esperienza ci ricorda che la fede può risultare una risposta potente nelle vittime al bisogno di dare un senso ad una violenza che di per sé non può non risultare insensata.
Ora, è mia convinzione che una scelta di fede possa realizzarsi pienamente, dal punto di vista della maturità psicologica, se supera una pur importante dimensione consolatoria o compensativa. Non entro ovviamente nel merito di questioni teologiche, ma affronto solo una questione psicologica. Mi sembra di poter affermare che il Dio cristiano sia un Dio di verità. Si ponga addirittura come la Verità. Nel Vangelo di Giovanni si legge che la Verità ci renderà liberi. Dunque la fede non solo non si contrappone alla ricerca della verità, ma semmai tende insistentemente e coerentemente a sollecitarla.
Le auguro dunque di considerare la ricerca piena e paziente della verità del proprio trauma come l’obiettivo più importante della propria vita, affinché la sua stessa vita possa essere preziosamente vissuta e non più tormentata, svilita, attaccata da pensieri o agiti suicidiari, autolesionistici, tormentata da pensieri negativi ed autoaggressivi, segnata dal disprezzo del proprio corpo (colpevole di che cosa? colpevole di aver patito senza avere avuto la possibilità di difendersi? colpevole di aver avuto quella capacità insita nella corporeità della nostra specie di tenere la memoria degli eventi traumatici?)
Oggi esistono tecniche e per corsi terapeutici che possono fare al caso suo. Bisogna cercarli con attenzione oltre che con fiducia.
Grazie.. :'( ci proverò..ma la vedo molto dura..