La bambina che ero, spaventata, in tensione, sempre alla ricerca di affetto, sempre alla ricerca di accettazione, di essere in qualche modo amata…e sempre con la paura che si vedesse, che si capisse che il vecchio con i capelli bianchi – il caro amico di famiglia, quello di cui papà si fidava tanto – aveva fatto con me quelle cose…
Ora vedo quella bambina con tenerezza: la accarezzo nel sogno, le voglio bene ora che sono una donna felice con uno sposo che mi ama e che ha accettato anche lei, la bambina spaventata.
Non ho avuto figli. Tanto li avrei desiderati ma poi mi domando ‘e se avessi fatto dei miei figli dei bambini spaventati?’ Quanto sarei stata una madre apprensiva, protettiva, asfissiante?
Non so come si comportano le madri-bambine abusate. Vorrei capirlo, ora che con mio marito pensiamo all’adozione. Credo che la paura stia bloccando il desiderio di genitorialità.
Beatrice
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Una qualità psichica straordinariamente benefica
Claudio Foti
Cara Beatrice,
ci siamo conosciuti recentemente in un gruppo di lavoro e ho avuto modo di percepire il coraggio e la lucidità con cui lei ha esplorato un sentimento difficile ed impegnativo: quello dell’angoscia. Un sentimento che, per quanto possa essere logorante, può svolgere una funzione segnaletica ed informativa per il soggetto che lo vive. Ignoro quanto lei sia riuscita ad affrontare su un piano psichico profondo lo spavento connesso alla sua esperienza traumatica, ma dai dati che posso avere (sia dall’incontro di gruppo, sia dalla sua lettera), sembrerebbe che lei abbia raggiunto un buon livello di elaborazione e di comprensione della vicenda di abuso infantile. Lei scrive: “Ora vedo quella bambina con tenerezza la accarezzo nel sogno le voglio bene ora che sono una donna felice con uno sposo che mi ama e che ha accettato anche lei, la bambina spaventata”. La capacità di accettare veramente la propria storia infantile e di guardarla con compassione e con dolcezza in tutti i suoi risvolti di fragilità e di impotenza è una qualità psichica straordinariamente benefica.
Ho l’impressione comunque che lei possa essere una buona madre adottiva, anche perché la capacità di un genitore di riattraversare le proprie esperienze di sofferenza infantile consente di disporre di sensibilità e di empatia di fronte alle difficoltà e ai problemi che possono emergere nella storia di un figlio o di una figlia adottivi, difficoltà e problemi che molto frequentemente tendono a riemergere nel nuovo inserimento familiare.
Il tema che propone nella lettera è particolarmente complesso: il potenziale disturbo di un’esperienza traumatica infantile nelle funzioni genitoriali adulte. Penso che occorra analizzare ogni storia nella sua specificità. Più in generale mi limito a questa considerazione: non è soltanto la rielaborazione dell’abuso che favorisce l’attivazione di una competenza genitoriale in una madre che è stata una ragazza abusata, soprattutto se l’abuso è stato extrafamiliare. Il ruolo genitoriale è molto condizionato dall’interiorizzazione e dall’elaborazione delle relazioni con i propri genitori e soprattutto con la propria madre.
Così come nella determinazione del danno dell’abuso incide notevolmente anche la struttura di personalità della vittima al momento del trauma. Questo è un aspetto poco considerato. In realtà le qualità e le carenze, precedenti l’abuso, della relazione primaria e più in generale delle relazioni con le figure genitoriali (aspetti che fondano la struttura della personalità al momento dell’abuso) sono un elemento fondamentale per comprendere la natura delle strategie di coping della piccola vittima per affrontare il trauma e la qualità dei meccanismi difensivi, a cui ella ha fatto ricorso per reagire alla sofferenza traumatica.